Ultimo aggiornamento: Venerdì, 13 Settembre 2024 Ore 09:37:32 Aggiorna

Intervista a Enea Roveda, CEO di LifeGate

La nascita e l'evoluzione di LifeGate: sostenibilità ed economia circolare sono il nostro futuro


Investorado ha incontrato Enea Roveda, CEO di LifeGate, che ci ha parlato della sua esperienza professionale: vent’anni di carriera nell’ambito della sostenibilità, il core business della sua azienda. Ma come ha fatto? Scopriamolo insieme.

Iniziamo dalla sua carriera. Mi può riassumere la sua esperienza professionale e com’è arrivato ad occuparsi di sostenibilità?

Per merito dei miei genitori sono nato e cresciuto toccando i temi di sostenibilità. La mia famiglia ha fondato Fattoria Scaldasole, prima azienda del mercato BIO ad entrare nella grande distribuzione. Posso dire che mio padre è stato l’apripista del mercato biologico. L’Italia in quegli anni è passata dall’ultimo al primo posto tra i Paesi che producevano prodotti BIO e praticavano agricoltura biologica. Sono stato immerso nei temi della sostenibilità e di rispetto del pianeta fin da bambino: Fattoria Scaldasole per me è stata una grande scuola.
L’azienda aveva un ottimo fatturato e negli anni ’90 è stata ceduta ad una grossa multinazionale. Da lì è partito tutto.

Nel 2000, si è deciso di far nascere LifeGate. La volontà era quella di portare avanti i temi nati con il progetto dei miei genitori e di riuscire a raccontare gli aspetti di rispetto sociale e ambientale al grande pubblico.
L’obiettivo? Costruire un network di comunicazione che portasse ovunque, non solo nell’ambito alimentare, i concetti di rispetto ambientale e sociale, e quindi di sostenibilità. In quel periodo la parola sostenibilità praticamente non esisteva. Si parlava (poco) del concetto di biologico, ma niente di più.
Inoltre volevamo implementare un certo numero di servizi, inizialmente rivolti alle imprese, per poter diventare “people, planet, profit”, uno slogan che ci segue da sempre. Se i miei genitori avevano applicato questa filosofia al settore alimentare era possibile farlo in qualsiasi ambito. Siamo sempre stati convinti di questo.
Inizialmente mi sono occupato dello sviluppo degli aspetti di comunicazione, che erano a me più affini. Ho dato il via alla radio a cui ho poi affiancato il mondo digitale e dei social network. In seguito mi sono spostato sulla parte dei servizi dedicati alle imprese; negli ultimi 2 anni siamo arrivati a costruire servizi dedicati anche alle persone.

Oggi, dopo 20 anni, com’è strutturata LifeGate?

LifeGate oggi è una holding formata da un gruppo di 86 soci, 30 dei quali lavorano internamente. Abbiamo costruito l’unico media che si occupa esclusivamente di sostenibilità a 360°: facciamo informazione di ogni tipo, applicando però un filtro green e toccando sempre temi sociali ed ambientali. Inoltre siamo diventati la community più ampia d’Italia che tratta questi temi (5-6 milioni di affiliati).
Abbiamo anche un progetto, il “LifeGate Circle”: una linea editoriale in partnership con i principali editori digitali del mondo green, che ci vede partecipi su una community di oltre 6 milioni di persone.

Anche il mondo dei servizi è cresciuto in modo importante e vantiamo diverse divisioni:

  • una legata al mondo della comunicazione in cui aiutiamo le aziende nel lancio di prodotti e servizi e svolgiamo consulenza per il posizionamento di brand.
  • Un’altra che si occupa di consulenza strategica: lavoriamo con grandi gruppi proprio sugli aspetti di sostenibilità e li aiutiamo ad intraprendere un percorso per integrare la sostenibilità nel loro business.
  • Infine, l’ultima, è legata all’energia rinnovabile. All’interno della nostra azienda ci sono due società che vendono energia al mondo delle piccole imprese, oltre che a quello residenziale.

Pensando all’evoluzione di LifeGate, cambierebbe qualcosa nello sviluppo del business?

Le dico una cosa che è quasi paradossale. Siamo partiti in anticipo rispetto agli altri e questo è stato un vantaggio. Oggi però è anche il nostro limite. Mi spiego meglio. Tutti ci riconoscono quello che abbiamo fatto e siamo stimati, ma non abbiamo più le possibilità economiche che ad esempio avevamo 10 anni fa. Non abbiamo le capacità di fare un investimento che ci faccia crescere verticalmente in un momento in cui ce ne sarebbe la possibilità, soprattutto adesso che LifeGate è proiettata anche all’estero.
Forse avremmo potuto dosare meglio le nostre finanze e saremmo arrivati in questo momento storico, in cui ci sono enormi possibilità di crescita, con potenzialità ancora maggiori.
A parte questo mi sento di dire che di mosse sbagliate non ne abbiamo fatte perché senza gli investimenti (anche cospicui) LifeGate non sarebbe una realtà così importante.
Quando ad esempio abbiamo abbandonato il progetto del giornale cartaceo non l’ho visto come un fallimento: il mercato si è evoluto e noi abbiamo dovuto cambiare.
A posteriori si cambierebbe sempre qualcosa e si potrebbero migliorare dei percorsi intrapresi, ma è un discorso che vale per ogni azienda.

Parliamo dei punti di forza. Qual è il valore aggiunto di LifeGate e di cosa è particolarmente fiero?

Siamo nati in un mercato che non esisteva e l’abbiamo costruito, sensibilizzando persone e aziende. Per noi questa è un’enorme soddisfazione.

Negli anni siamo stati bravi nel valorizzare il nostro know how, anche rispetto alle big four e alle grandi agenzie che hanno iniziato a muoversi in questo settore, diventando nostri competitor. Ci siamo rinnovati molto in fretta, anche nell’ambito della comunicazione, ed è stato un grande punto di forza.
Abbiamo un osservatorio completamente diverso dagli altri, che ci permette di conoscere e monitorare molto bene l’evoluzione dei trend di sostenibilità e il target di riferimento: a livello strategico riusciamo a dare consigli e spunti di lungo periodo, che altri player non sono capaci di fornire. Un’azienda vuole sapere come si svilupperà il suo mercato negli anni, rispetto a questi temi e noi abbiamo una visione decennale che ci consente di avere una previsione di quello che succederà in tutti i settori.
Quello di cui le ho appena parlato è il nostro valore aggiunto.

La cosa che invece mi rende più fiero è che finalmente tutti quanti adesso riconoscono quello che abbiamo fatto e costruito negli anni. Oltre a essere visti come un punto di riferimento per i temi di sostenibilità, oggi le aziende ci contattano e riconoscono in noi il partner che può tradurre e realizzare il cambiamento che si sta avendo nei confronti di questi temi. Siamo visti come un’azienda sana, che non ha voluto solo fare profitto, ma ha fatto della sostenibilità il suo modello di esistenza e non possiamo che essere orgogliosi.

Nelle cose più pratiche invece posso indicarle altri elementi che mi rendono fiero di LifeGate. Innanzitutto siamo la community più grande d’Italia e di conseguenza riusciamo a raggiungere e a comunicare con un grande numero di persone.
Inoltre, anche i progetti che abbiamo attivato e riguardano le foreste, il mare e le api sono riconosciuti come i temi fondamentali dal punto di vista ambientale.
Infine, sul lato personale, la mia soddisfazione più grande è quello di fare qualcosa per le generazioni future.

Per LifeGate sostenibilità e profitto vanno allo stesso passo. Che consiglio dà alle aziende che vogliono essere sostenibili o approcciarsi a questo mondo?

Prima di tutto ci tengo a dire una cosa. Nella parola sostenibilità è riassorbita la parola profitto. Qualsiasi azienda deve comprendere e interiorizzare che la sostenibilità è l’integrazione di 3 voci: crescita ambientale, sociale ed economica.
Noi questo slogan ce l’abbiamo dal 2000: “people, planet, profit”, queste 3 voci devono stare insieme e non può essere altrimenti. Le nuove generazioni vogliono sempre di più questo e le aziende che non faranno così non staranno sul mercato.

Si sente spesso parlare di economia circolare. Ci può dare un suo punto di vista?

L’economia circolare è parte integrante della sostenibilità, ci permette di riflettere ragionare e rivedere l’economia dal punto di vista dei prodotti: come ripensarli dal punto di vista dello scarto e del riutilizzo.
Per 30 anni abbiamo usato un materiale che dura centinaia di anni come la plastica per fare un prodotto monouso. È come se avessimo usato il cristallo per la carrozzeria della macchina. Con l’economia circolare quando si pensa ad un prodotto si pensa a tutto il ciclo di vita del prodotto stesso. Nell’economia di adesso invece ci sono delle contraddizioni che se ci si ragiona non hanno motivo di esistere. Le faccio l’esempio delle arance che in Italia crescono 6 mesi all’anno: volerle mangiare a tutti i costi per 12 mesi, importandole dall'estero, crea un inquinamento dovuto alla logistica e un danno ecologico incredibile, ma soprattutto evitabile.

Come vede il futuro di LifeGate? E quello della sostenibilità in generale?

Il futuro della sostenibilità è segnato: questo concetto permea in tutti i settori. Adesso anche settori come la finanza, la moda e da quest’anno il design si sono sensibilizzati su questi temi e stanno integrando questi concetti nelle loro realtà produttive. La strada è scritta: la sostenibilità è il presente e sarà sempre di più il futuro. Il sogno aziendale è che LifeGate cresca ancora e diventi un punto di riferimento, anche a livello internazionale, su questi temi, riuscendo ad aggregare diverse realtà che stanno lavorando per uno scopo comune: il nostro futuro. Siamo stati protagonisti di un cambiamento in Italia e se fossimo protagonisti anche all’estero per noi questo sarebbe un’enorme soddisfazione. In ogni caso c’è ancora molto lavoro da fare per creare una coscienza e una cultura della sostenibilità diffusa.

Le riporto alcuni dati del nostro osservatorio, attivo da 5 anni, per delineare un quadro della situazione nel nostro Paese.
In Italia il 30% delle persone non si interessa al tema della sostenibilità. Principalmente sono uomini e over 50. 1/3 della popolazione è invece molto attento e la restante parte di abitanti è sensibile ai temi, ma non in maniera eccessiva. La parte di popolazione più interessata sono le donne tra i 25 e i 45 anni: mamme e neomamme hanno quindi una particolare attenzione verso il futuro.
Nelle nuove generazioni però l’interesse verso la sostenibilità sale esponenzialmente: basta guardare al milione di persone scese in piazza qualche mese fa durante la manifestazione del “fridayforfuture”.

Inoltre, parere mio personale, le donne e i giovani ricoprono sempre più posizioni, anche apicali, nelle grandi aziende e questo ha dato un’accelerata al processo di sensibilizzazione.
Infine, passo dopo passo, i temi della sostenibilità arriveranno anche alla politica.
Come ho detto il futuro è segnato: stiamo andando verso un mondo sostenibile e non può essere altrimenti.

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